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Import di acciaio nell’Ue ancora più difficile nel 2025. Le quote di salvaguardia sulle importazioni potrebbero infatti essere riviste, come richiesto da 13 Stati membri a fine novembre 2024. Gli eventuali cambiamenti riguarderanno la gestione e assegnazione delle quote, l’esclusione dai flussi commerciali tradizionali, l’aggiornamento dei Paesi in via di sviluppo (per esempio, l’Indonesia) esclusi dalle misure in base alle loro importazioni del 2024, il livello di liberalizzazione delle quote.
«Già ad aprile 2025 la revisione potrebbe comportare una ulteriore riduzione della quota globale ma anche delle quote Paesi, il che andrebbe a limitare sempre più l’import di acciaio nell’Ue, già penalizzata con il limite al 15% per singolo paese dell’intera quota trimestrale a partire da luglio 2024», osserva Marco Moriconi, Sales Director Steel di Hyosung Europe.
Quanto sopra porterebbe ad un mercato ancora più chiuso di quello attuale, favorendo i produttori di acciaio europei e nazionali.
Il punto di vista di Moriconi spazia su tutto il mercato siderurgico europeo con particolare focus sull’Italia, visto che l’ufficio di Milano di Hyosung è la direzione commerciale per l’Italia per tutti i settori merceologici in cui opera il gruppo sudcoreano. Che, con un fatturato globale di 14 miliardi di euro, spazia dalle fibre tessili sintetiche a quelle chimiche, dal tyre cord per pneumatici alle tecnologie energetiche e al trading di metalli.
Da qualche anno inoltre, grazie soprattutto ai risultati della divisione acciaio, la filiale italiana è la prima al mondo tra le filiali del gruppo.
In particolare sui metalli ferrosi, Hyosung è una delle trading partner ufficiale del produttore sudcoreano di acciaio Posco. «In Europa vendiamo 610mila tonnellate di acciaio, in gran parte proveniente dalla Corea del Sud, di cui circa 300mila tonnellate solo in Italia. I clienti sono soprattutto tubisti e centri di servizio che a loro volta servono settori diversi quali automotive, elettrodomestico e costruzioni. Le tipologie di prodotti includono piani in acciaio al carbonio caldo e freddo, vergelle, lamiere da treno, inox sia piani caldo e freddo sia vergelle e tubi senza saldatura. Tutti volumi compresi nella quota Ue assegnata alla Corea del Sud».
I dati Eurofer sulla domanda e sulla produzione siderurgica nell’area Ue nel 2024 sono evidenti e ampiamente conosciuti nel settore. Quelli di Federacciai sull’Italia pure (domanda reale in netta contrazione, produzione nazionale di acciaio nel periodo gennaio-novembre in calo tendenziale del -4,7% rispetto al 2023). Soffrono sia gli ambiti del consumo di acciaio per investimenti (infrastrutture e beni intermedi e strumentali) sia quelli più legati ai cicli di sostituzione dei prodotti in mercati maturi (automotive, elettrodomestici).
E gli annunci di tagli di capacità produttiva, crisi aziendali e licenziamenti arrivano da quasi tutto il Vecchio Continente, Germania in testa.
«Il mercato si avvia molto lentamente verso la fine dell’anno. Le acciaierie europee – commenta Moriconi – sono riuscite a portare a casa un lieve aumento di prezzo nelle ultime settimane, in gran parte dovuto alla scarsità di prodotto disponibile sul mercato. Ma si fatica a vedere una vera e propria ripresa».
Il centro studi dell’osservatorio di settore italiano Siderweb evidenzia come nel 2024 si siano anche ridotte le importazioni di prodotti siderurgici. Effetto sia della domanda debole sia delle misure europee mirate a tutelare la produzione siderurgica continentale dal rischio di concorrenza a basso prezzo e pratiche commerciali sleali, soprattutto dall’Asia.
Sul tema delle restrizioni all’import di acciaio nell’Ue Moriconi sottolinea in particolare che ad agosto 2024 la Commissione europea ha annunciato l’apertura di un’indagine antidumping sui prodotti piani laminati a caldo (HRC) con origine in Egitto, India, Giappone e Vietnam. «Da gennaio a maggio del 2024 – ricorda il manager – questi quattro Paesi hanno rappresentato circa il 51% delle quasi 4,3 milioni di tonnellate di importazioni di HRC dell’Ue. Sia ad aprile che a gennaio di quest’anno, quando le quote trimestrali sono state ripristinate, hanno rappresentato più del 58%. Ciò suggerisce che circa 2,2 milioni di tonnellate delle importazioni di HRC di quest’anno potrebbero essere interessate dall’indagine. Il che creerebbe un mercato molto più chiuso e favorevole ai produttori di acciaio nazionali».
Nel 2023 le importazioni di HRC dal Vietnam nell’UE sono aumentate a 1,13 milioni di tonnellate, rispetto alle 400mila tonnellate del 2022. Rivolte principalmente a tubisti e a grossi acquirenti di commodity. Una performance resa possibile da prezzi che sono spesso i prezzi più bassi sul mercato.
Nell’indagine in corso sono state effettuate visite di verifica da ottobre a inizio dicembre 2024. Una pre-divulgazione è prevista entro il 7 febbraio 2025. L’esito finale è atteso entro il 16 giugno con scadenza fissata per il 6 settembre 2025.
«I dazi possono inoltre essere applicati retroattivamente, di fatto azzerando e rendendo impossibili gli acquisti da questi Paesi. Pertanto – spiega ancora Moriconi – pur in un contesto di grosso rallentamento della domanda tra crisi dell’automotive e dell’elettrodomestico, le possibilità di acquisto si sono ridotte e si è fermata la discesa dei prezzi che si stava verificando nelle ultime settimane. I grandi acquirenti, come tubisti e rilaminatori, si sono dovuti rivolgere in Europa e in Indonesia o in Corea del Sud, che è un Paese che ad oggi controlla le quote».
I centri servizio indipendenti stanno soffrendo più di tutti nella filiera il calo della marginalità. Gli operatori sono tanti, la domanda latita e i produttori siderurgici italiani stanno cercando di sostenere i prezzi riducendo la produzione. Tutti riscontrano domanda bassa da parte dei principali utenti finali e sono certi che la situazione rimarrà difficile anche nella prima metà del 2025. «È comunque chiaro – avverte Moriconi – che una volta che tornerà ad aumentare la richiesta di materiale, per chi fa import di acciaio nell’Ue sarà necessario destreggiarsi tra misure di salvaguardia, investigazioni antidumping e anche CBAM, che inizierà ad avere effetti economici dal 1° gennaio 2026. Il problema, più che il prezzo, sarà dove comprare. Verranno inoltre avvantaggiati i centri servizi supportati dalle acciaierie rispetto a quelli privati, per i quali l’approvvigionamento del materiale sarà sempre più complesso».
Secondo un’indagine tra gli operatori di mercato, i produttori di acciaio devono invece mantenere la produzione al livello attuale per diverse ragioni. Primo, costi elevati di arresto e ripresa della produzione. Secondo, rischio di perdere quote di mercato a favore dell’importazione o di concorrenti europei. Terzo, la necessità di mantenere i volumi per avere sufficienti quote di emissioni di CO2 nei prossimi anni. Ma si prevede che verranno annunciati tagli di produzione all’inizio del 2025.
«A fronte di una marginalità sempre più bassa, minata dalle importazioni dell’eccesso di produzione cinese, da costi energetici sempre più alti e da un consumo europeo destinato a calare, le acciaierie stanno da un lato ristrutturando (si veda ThyssenKrupp, che ha annunciato un taglio di personale di 11mila posti da qui al 2030), dall’altro cercando di mettere barriere all’importazione di acciaio, all’esportazione di rottame e incrementando il supporto all’industria siderurgica attraverso ammortizzatori sociali e sostegno sui costi dell’energia. Vedremo se basterà a evitare un collasso nei prossimi anni», conclude Moriconi.