ENERGIE RINNOVABILI

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La strada per aumentare in Italia il riciclo delle materie prime strategiche contenute in molte apparecchiature elettriche ed elettroniche giunte a fine vita rimane impervia. È infatti risaputo che molti tipi di metalli critici strategici inseriti nell’elenco del CRMA (Critical Raw Materials Act) dell’Ue sono presenti nelle schede elettroniche di televisori, schermi e dispositivi elettronici di consumo. Ma le concentrazioni molto basse rendono poco conveniente gli investimenti per impianti industriali di trattamento.
Tant’è che non ci sono impianti di questo tipo neanche tra la ventina di progetti finanziati dal PNRR in ambito raccolta e trattamento dei RAEE (monitoraggio OpenPNRR di Fondazione Openpolis).
Alla base di tutto c’è il fatto che il tasso di riciclo dei RAEE domestici e professionali negli ultimi dieci anni in Italia è addirittura regredito. Oggi non supera il 30% della media di volumi di nuove apparecchiature elettriche ed elettroniche immesse nel mercato nazionale nel triennio precedente. Lontanissimo quindi dal target Ue del 65%, un ritardo a causa del quale nel 2024 è stata avviata una procedura di infrazione comunitaria nei confronti dell’Italia. Con performance così ridotte, manca proprio la massa critica di volumi RAEE per giustificare economicamente investimenti su larga scala per impianti di trattamento mirati a recuperare metalli strategici che sono però presenti nelle schede elettroniche a bassissime concentrazioni.
Pertanto, gran parte delle schede recuperate negli impianti italiani di primo trattamento dei RAEE viene oggi inviata in pochi centri specializzati all’estero. Principalmente in Svezia e in Germania, dove le schede vengono processate da impianti di secondo trattamento specializzati. I proprietari e gestori di questi centri sono grandi gruppi della filiera del rame, come Boliden e Aurubis, che di fatto fanno da collettore per gran parte delle schede elettroniche riciclate in Europa e da cui ricavano quindi anche altri metalli.
Non sono più di tre o quattro i player industriali della filiera dei metalli che in Europa hanno questo tipo di impianti. Ma pure a livello mondiale le strutture in grado di lavorare con economia di scala adeguate volumi rilevanti di schede elettroniche non superano come numero la decina.
Ci sono arrivati investendo per tempo in tecnologie per riuscire ad estrarre dalle schede anche i metalli più diluiti. Una forza economica e di know-how che nasce dalla loro posizione di forza sul mercato della raffinazione e del riciclo dei metalli. Innanzitutto di quelli più richiesti, che rappresentano la base economica del loro modello di business.
Un piccolo passo avanti è stato fatto in Italia sulla strada dello sviluppo del riciclo delle materie prime strategiche contenute nei RAEE. A dicembre 2024 è stato infatti inaugurato a Valdarno in Toscana un impianto gestito dalla multiutility Iren per il trattamento delle schede elettroniche, da cui sarà in grado con un sistema avanzato di idro metallurgia di ricavare rame e metalli preziosi.
I volumi non sono certo enormi, visto che l’impianto gestirà intorno alle 300 tonnellate di schede elettroniche all’anno, da cui Iren prevede di ricavare 26 tonnellate di rame metallico puro e 34 tonnellate di rame in polvere. Oltre a un paio di quintali tra oro, argento e platino, richiesti come metalli riciclati certificati da RAEE da alcuni marchi della moda.
Ma all’appello di cosa si può estrarre in Italia dalle schede RAEE mancano appunto i diversi metalli “particolari” classificati come critici e strategici nel CRMA. Elementi con nomi sconosciuti al grande pubblico. Come per esempio il gallio, l’indio, il tungsteno e il niobio.
I volumi delle importazioni di questi quattro metalli in Italia sono molto ridotti. E il relativo valore economico non arriva a 100 milioni di euro, come evidenzia un recente position paper di Teha Group, società di consulenza di The European House – Ambrosetti.
Ma il riciclo di materie prime strategiche dovrebbe riguardare anche questi metalli, come prevede il target 2030 del 25% sul fabbisogno fissato dal CRMA. Gallio, indio, tungsteno e niobio sono infatti utilizzati nelle industrie dell’aerospazio, della robotica, dei semiconduttori, dell’elettromedicale. Tutti settori ad alto valore aggiunto economico e strategici per gli interessi nazionali, anche in chiave geopolitica. Dove quindi sarebbe necessario ridurre la dipendenza dalle catene di forniture internazionali che spesso passano da Paesi con cui non è sempre facile relazionarsi. La Cina, per esempio, da cui arriva il 56% delle materie prime critiche importate dall’Europa.
L’industria elettromedicale italiana importa ogni anno circa 300 tonnellate di niobio. L’elemento chimico n° 41 della tavola periodica è essenziale per produrre superconduttori per i dispositivi di risonanza magnetica e leghe biocompatibili per protesi, impianti e dispositivi chirurgici.
Questo materiale è quindi strategico per un settore di punta della manifattura italiana. L’elettromedicale nel 2022 ha generato una produzione di 6,9 miliardi, un export di 5,9 miliardi di euro, e impiega circa 120mila occupati (elaborazione Centro Studi Confindustria Dispositivi Medici).
Ma molto di questo fabbisogno di niobio potrebbe essere coperto internamente, riducendo quindi l’esposizione ai rischi nelle filiere internazionali di fornitura, se lo si recuperasse come materia prima seconda dalle cosiddette miniere urbane dei rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche.
Secondo dati della Commissione Ue (report «Critical raw materials for strategic technologies and sectors in the EU» e WITS (World Integrated Trade Solution) analizzati da TEHA Group, nel 2022 si sono importati in Italia 265 tonnellate di niobio destinato all’elettromedicale. Per un valore di 5,8 milioni di euro. Poco, in termini economici, rispetto gli oltre sei miliardi di valore della produzione industriale del settore elettromedicale italiano. Tuttavia, un’eventuale carenza di disponibilità di niobio comporterebbe notevoli problemi, per esempio qualora per qualche motivo l’import si interrompesse o ci fossero shock di prezzo.
Pertanto il niobio, che è utilizzato anche in altri ambiti oltre all’elettromedicale, è nell’elenco delle 34 materie prime strategiche del CRMA. Vale a dire, anche per il niobio si pone l’obiettivo di raggiungere per il 2030 i target del 25% di consumo annuo coperto dal riciclo interno. Inoltre, tetto massimo del 65% di provenienza del fabbisogno da un singolo Paese extra Ue. E 10% e 40% di consumo soddisfatto rispettivamente da estrazione mineraria e raffinazione in Europa.
Oggi il niobio è estratto soprattutto in Brasile e Canada. Mentre la filiera a monte di lavorazione e commercio mondiale è in mano soprattutto ad aziende cinesi. A livello globale è impiegato principalmente in ambito siderurgico come legante nella produzione di acciai. Ma, oltre che nell’elettromedicale, in Europa nel 2022 il 38% del niobio è stato utilizzato nel settore dei trasporti (dati Commissione europea, RMIS e SCREEN elaborati da TEHA).
La questione è pertanto come cercare di ottimizzare il recupero di quello già presente in Italia e in Europa nei RAEE. In maniera che questa fonte di riciclo arrivi a coprire almeno un quarto del fabbisogno entro il 2030, come da target CMRA. Ma in Italia, impianti di trattamento RAEE attrezzati in tal senso non ce ne sono.